No vaccino, no party

È oramai dal febbraio dello scorso anno che un po’ tutti, anzi tutti, ci (pre)occupiamo del Covid. Io non me ne occupo, né mi preoccupo, perché essendo completamente ignorante in materia, preferisco pensare al mio dialetto, non fosse altro perché è da più di vent’anni che lo studio e lo scrivo. Questa premessa serve per tranquillizzare i no vax, nel senso che non intendo assolutamente criticare, o peggio, giudicare i loro comportamenti. E se vi dico che mi sono fatto due dosi di vaccino per rispetto degli altri e non per me stesso, non ridete. Perché, vedete, è anche un fatto di coscienza. Se io per qualche motivo dovessi trasmettere a qualcuno il virus e, questo qualcuno finisse in ospedale, io non me lo perdonerei mai. Se lo trasmettessi invece da vaccinato starei con la coscienza a posto perché comunque, non avrei nulla da rimproverarmi come cittadino che vive tra cittadini… Di una cosa sono certo, ed è che il bisogno è cornuto (diciva u nticu), e quando si è trattato di fare sette cicli di chemio per avere la speranza di poter vivere ancora, non mi sono mai posto il problema di cosa ci fosse dentro quelle bottiglie che innaffiavano le mie vene. Mi sono spiegato? Era quella un’emergenza. È questa un’emergenza! Era quello un rischio. È questo un rischio!

Inoltre, credo che chi vive in una comunità, volente o nolente, debba rispettarne le regole. Ma ammesso che in questo caso, non le voglia rispettare (ne ha libertà), deve comunque attenersi al buon senso, se ne ha, oppure consigli, inchiostro e tempo, sono dilapidati.

Voglio dire, che ci sono degli obblighi morali e civili per chi vive in una collettività.

Ci sono dei vincoli di convivenza per chi abita in una famiglia, in un paese, in una città.

Un no vax lo può fare l’eremita, un monaco di clausura, un misantropo e persino uno scapolo indefesso.

Un genitore che ha figli in casa, che va in giro per lavoro, che usa mezzi pubblici, che mangia fuori, che intende andare allo stadio, al cinema, al teatro, insomma a fare la vita che faceva prima di questo problema (covid), non ha alcun diritto di tornare a casa e infettare i suoi figli.

Chiunque, per lavoro, o per vocazione, ha da fare con adulti e bambini in ambienti chiusi, o cambia lavoro, oppure per il bene degli altri si vaccina. Se pensa che vaccinandosi si possa avvelenare, niente male, cambia quel mestiere o si chiude in casa. È facile, semplice, altruista. Poi per un fatto statistico, tutti questi morti li ha fatti il covid, non il vaccino! E il vaccino c’è (menomale) perché c’è il covid.

Ma davvero una mamma si può assumere la responsabilità di mandare in ospedale un figlio? Ma davvero, ignoranti riconosciuti, in materia, possono avere un’idea più logica di 4 miliardi di vaccinati in tutto il mondo? Di avere un pensiero più illuminato di migliaia di scienziati, di medici, che raccomandano il vaccino? Ma conoscete un no vax che sa più di tutti gli israeliani messi assieme?

Comunque, dopo aver letto, non correte a vaccinarvi, non vorrei essere colpevole della vostra… assenza futura.

Non so, davvero non lo so, ma rimango impietrito.

Per esempio e per dispetto, certe mamme si pongono il problema, per se stesse. Nessun problema, invece, quando hanno magari dato ai figlioletti il vaccino contro il pneumococco.

Nota copiata: “Il pneumococco è un vaccino contenente tredici sierotipi. Il vaccino contro lo pneumococco più adoperato fra i bambini piccoli è un vaccino 13valente, contenente cioè tredici sierotipi di pneumococco. Questo vaccino, è ormai entrato nel calendario vaccinale e viene praticato in associazione al vaccino esavalente (contro poliomielite, difterite, tetano, pertosse, epatite b e meningite da Haemophilus influenzae) a partire dal terzo mese di vita. Se ne fanno tre dosi, tutte nel primo anno, e non ha bisogno di richiami negli anni successivi”.

Ecco, voglio dire ai no vax, per una volta, di tornare bambini, quando non sapevate nulla dei vaccini… esattamente come adesso.

Esattamente come me.

Pubblicato da brunolucisano

Sono nato a Staiti (RC) e ho 62 anni, sono sposato e ho due figlie, abito a Brancaleone (RC) da 50 anni e sono pensionato. Scrivo poesia dialettale da una quindicina di anni. Ho pubblicato 6 libri di poesie e tre poemetti. Ho scritto inoltre 6 commedie dialettali e una farsa. Collabora saltuariamente con delle riviste on line ed in particolare col mensile In Aspromonte. "Pericle d'oro" per la poesia 2013.

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